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convegno streghe

VARZO- 20-07-2018- Il convegno 2018 affronta il tema delle relazioni “pericolose” tra processi per stregoneria e presenza di comunità di minoranze etnico linguistiche sulle Alpi Pennine, Lepontine e Retiche: le “Alpi somme”, ancora oggi il cuore della principale catena montuosa d’Europa. È il territorio dove, a partire dal XIII secolo, si è sviluppato il fenomeno storico della civiltà walser.

Le Alpi sono sempre state un mondo diverso da quello della città: l’artificialità opposta alla naturalità, l’urbe opposta al pagus, i campi coltivati opposti alla selva. Le Alpi sono sempre state un mondo “pagano” e “selvatico”. I Romani le definivano infames frigoribus, ostacolo ai commerci e al transito degli eserciti. Poi, nel Medioevo maturo, le Alpi si sono “aperte” con la costruzione delle grandi carovaniere, gli epocali processi di colonizzazione, i pionieri che andavano a strappare alla foresta e alle praterie in quota spazi dove abitare, coltivare, allevare. Questo mondo “diverso” rimase a lungo impermeabile alla superiore e più organizzata cultura urbana (il Cristianesimo ha impiegato più di mille anni a penetrare e a radicarsi nel mondo alpino). L’uomo di montagna è obbligato a confrontarsi quotidianamente con un ambiente naturale sempre più forte di lui e mai compiutamente addomesticato. Il suo sapere profondo viene dalla Natura, è nascosto nel bosco e nelle sorgenti, ha la voce del soffio della valanga e del crollo della roccia, dell’albero schiantato dal fulmine. E’ un sapere che fa paura ai poteri centrali annidati nelle città. È un qualcosa di tanto diverso da apparire diabolico. Nel XVI e XVII secolo quelle “Alpi aperte” andavano chiuse, per impedire l’arrivo delle eresie o dei sogni libertari. La cultura teologica vedeva unnemico nella cultura rurale. Le “streghe” come simbolo di diversità: la diversità della montagna.

È un processo storico che investe tutto l’arco alpino, dal Tirreno all’Adriatico dove, accanto a streghe e stregoni, si possono accostare fenomeni analoghi come i “benandanti” friulani o i “krestniki” del confine sloveno in Venezia Giulia, portatori di fenomeni sciamano-estatici, che hanno in comune le visioni delle processioni dei morti che camminano per boschi e ghiacciai durante certe notti, nei loro villaggi natali, tenendo un mignolo acceso come flebile candela. Coordina i lavori: Rinaldo Lampugnani (Università di Parma),  Enrico Rizzi (Fondazione Monti – Storico delle Alpi), Hubert Giger (Canton Grigioni,- Storico), Battista Beccaria (Storico del Medioevo e della Chiesa novarese), Paolo Crosa Lenz (Scrittore).