PIEMONTE- 12-03-2023-- Già attivo dalla fine degli anni settanta con i Birthday Party, Nick Cave fece nel 1988 uno dei suoi massimi capolavori, “Tender Prey”, conciliando il sound cupo e punk dei suoi primi lavori coi Bad Seeds insieme alla raffinatezza del suo stile cantautoriale più tradizionale, che segnò soprattutto il suo periodo anni 90’.
A detta della band, fu complicato registrare questo album per una serie di motivi soprattutto legati alla salute mentale e le dipendenze di Cave, ma si può dire che forse è proprio qui che inizia la redenzione del cantante che lo porterà poi alle preghiere di “The Good Son” qualche anno più tardi.
“The Mercy Seat”, lunga e ipnotica, è recitata da Cave nei panni di un condannato a morte, la musica è difficile da collocare tra gli altri album di Cave, incessante e allo stesso tempo atmosferica. “Up Jumped The Devil” è una leggenda urbana cantata da una voce ubriaca e comandata dal contrasto tra il piano da bar e la linea di basso sempre ben presente e pesante.
“Deanna”, in mezzo a tutte le miserie cantate da Cave, risulta alquanto felice, il teatrino parla di un’amica d’infanzia e qui l’organetto è la spina dorsale del pezzo.
“Watching Alice” invece è solo all’apparenza una ballata d’amore per pianoforte, Cave infatti si immedesima in uno stalker che sta spiando la sua preda, da apprezzare l’assolo di armonica nel finale.
“Mercy” torna alla cupezza e ai quesiti religiosi del Cave più tormentato e drogato, “City Of Refuge” assume presto un ritmo incalzante e continua il pellegrinaggio verso la salvezza. Finalmente si trova un po’ di genuina dolcezza con “Slowly Goes The Night”, il percorso di redenzione finisce però con l’ultimo pezzo, “New Morning”, quasi una preghiera Gospel.
Nick Cave è uno dei cantautori più importanti del Rock, capace di spaziare per decenni con stili diversi durante la sua battaglia contro la miseria dell’uomo, non arrendendosi nemmeno di fronte alla morte di due dei suoi figli ed essere, ancora oggi, una belva da palcoscenico.
Gianvittorio Bentivoglio