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PIEMONTE- 30-04-2023-- Capi supremi dell'iconica scena di Canterbury, i Soft Machine portarono il "progressive" di matrice Jazz su un altro livello.

Fondati nel 66, dopo la dipartita del cantante Daevid Allen (che formò successivamente i Gong, una band incredibile che vi consiglio di ascoltare se ve li siete persi) e due album (validissimi) all'attivo, nel 1970 rilasciano il loro capolavoro: "Third".

Doppio album, 4 tracce (una per lato), 20 minuti circa ciascuna; già questo fu un gesto coraggioso, ma mai quanto il tripudio caotico del primo brano "Facelift", una decostruzione totale sia del jazz che della nascente scena prog. Come nel resto dell'album ci si accorge che ognuno dei 4 membri ha la totale libertà creativa di esprimere se stesso con il proprio strumento, una peculiarità possibile anche grazie alla maestria tecnica di questi giganti del rock.

"Slightly All The Time" invece viaggia su corde più canoniche, vivaci e divertenti, il protagonista assoluto qui è ovviamente il sax di Elton Dean, che sembra parlare con il suo strumento, dandogli vita e forma. Anche per l'ascoltatore meno attento è ormai chiaro un altro concetto: i Soft Machine sono una delle poche band rock che possono permettersi di fare un album senza chitarre.
Il terzo brano, "Moon In June", oltre a essere una delle migliori "canzoni" d'amore mai scritte, è anche il pezzo più tendente al rock dell'album, nonché uno dei picchi dell'"ingegneria" inglese.

La prima metà, cantata divinamente dal batterista Robert Wyatt, trascina l'ascoltatore nel mezzo della sua testa e dei suoi pensieri, uno scarno accompagnamento è più che sufficiente per rendere l'idea di ricordi, amori, lontananza, nostalgia, casa...Avanguardistica invece la seconda metà del brano, permeata da un'atmosfera evocativa e malinconica, con annessa dedica all'amico ed ex membro Kevin Ayers (altro grande musicista del quale vi consiglio l'ascolto dei primi due album da solista).

Il lavoro ritmico di Hopper e l'accompagnamento di Ratledge sono ancora una volta superbi nel quarto e ultimo brano "Out Bloody Rageous", un'altra spensierata improvvisazione che finisce in maniera quasi psichedelica, chiudendo l'album e anche l'avventura di Wyatt nei Soft Machine, scappato o forse cacciato dalla band per divergenze sonore, avrà poi la sua rivincita, producendo grandissimi lavori e qualcosa di più, di cui parleremo senz'altro...buon ascolto