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mars bentivoglio

PIEMONTE- 09-07-2023-- Dopo aver cambiato le carte nel gioco del “Post-Hardcore” con gli “At The Drive-In”, gli statunitensi di origine messicana Omar Rodriguez Lopez e Cedric Bixler Zavala uscirono dalla band e ne crearono subito un’altra: The Mars Volta.

Il loro esordio, Deloused In The Commatorium, uscito nel 2003, spinse i loro orizzonti hardcore su un altro piano di esistenza legato fondamentalmente al prog, al jazz e alla sperimentazione in generale.

La loro formula giunge, a mio parere, nel suo apice nel 2005 con “Frances The Mute”, album di cui vi parlerò oggi. Concept album ispirato da un diario trovato in un’ignota automobile da un amico della band di professione meccanico, rimane l’aurea di esoterismo e occulto che aveva caratterizzato tra le altre cose il loro esordio, però portata a una dimensione più popolare, mondana e attuale.


I complicati ritmi di “Cygnus”, l’uso della lingua spagnola mischiata all’inglese, il ritornello scoppiettante, catatonico e “Hard”, gli intermezzi tranquilli e astratti, sono tutti elementi che si riprenderanno poi in varie forme per il resto dell’album e danno già una panoramica del capolavoro che stai ascoltando.

Interessante ovviamente è la storia introdotta dal primo brano e raccontata dalla superba voce poliedrica e quasi effeminata da Bixler Zavala, una storia di stupri, droghe, personaggi bizzarri, preti, società segrete e, soprattutto vendetta. “The Widow”, uno dei loro pezzi più famosi, è quello che inevitabilmente si avvicina più alla forma canzone, soprattutto per la sua durata “normale”.

Le chitarre acustiche spezzate dall’energia del ritornello lasciano poi spazio a un quasi psichedelico intermezzo con tanto di synth e trombe. Il terzo brano, “ L’Via L’Viaquez”, forse eccessivamente ripetitivo, ha la peculiarità di introdurre elementi della musica popolare latino-americana insieme al più classico degli andazzi hardcore, ma ancora più peculiare è che le parti dure sono cantate in spagnolo, mentre il ritornello latineggiante è cantato in inglese.


“Miranda”, con meravigliosi spunti di tromba suonati da Flea dei Red Hot Chili Peppers (mi chiedo, in modo provocatorio, se sia la cosa più bella mai suonata da Flea…), raggiunge punti di consapevolezza, dramma e sensibilità altissimi, un pezzo aggrappato quasi al silenzio.
Risulta quasi inutile parlare dell’ultimo brano, “Cassandra Gemini”, uno dei punti più alti mai raggiunti dalla musica rock, con i suoi 30 e passa minuti di durata, i deliri, allucinazioni, e un’imperfetta perfezione anche quando di primo acchito sembri quasi che la band esageri.

Tutto ha senso e porta alla voglia del riascolto quando si giunge al gran finale, che chiude il cerchio dell’intero album con pillole filosofiche e riflessioni sulla vendetta stessa, per poi sfociare nell’epilogo acustico con cui il primo brano dell’album si era aperto.


Per fortuna questa band risulta essere piuttosto celebre, aprendovi l’opportunità di farvi le vostre dovute ricerche su di essa, sui loro testi, e quant’altro, e per chi si accinge per la prima volta ad ascoltarli, auguro un grande ascolto.

Gianvittorio Bentivoglio