PIEMONTE- 03-09-2023-- Delle vibrazioni che ricordano quasi la pioggia e la natura aprono l’ennesimo capolavoro dei King Crimson, questa volta con John Wetton al basso, Bill Bruford alla batteria e con l’aiuto del percussionista Miur.
Poi il teso violino di David Cross duetta con una chitarra particolarmente “tenebrosa” che esplode in qualcosa che era più che unico per il suo tempo, una virata decisamente hard per il 1973, il tutto sempre pensato dalla mente geniale di Fripp che ormai il prog lo aveva superato da un pezzo.
I 13 minuti di “Lark’s Tounges In Aspic” sono un chiaro segnale di cambiamento dei King Crimson, un suono che sembra essere il punto d’incrocio tra le band più hard dell’epoca, come per esempio i Black Sabbath, e lo spirito intricato, di ricerca e sperimentazione, già facente parte alla band.
L’album presenta anche delle scelte che vanno a ricordare la musica etnica, come fosse musica tribale in alcuni punti, oscillando sempre nel dinamismo e nella sorpresa, colpendo di colpo l’ascoltatore con improvvisi “thriller” di chitarra elettrica, telefonate inquietanti e ancora durezza.“Book Of Saturday” volta pagina di nuova e prova quasi ad essere un “pezzo da radio”, esprimendo in pochi minuti tantissima classe oltre che mostrare nuovi orizzonti più minimalisti.
John Wetton debutta alla voce in maniera fantastica e in “Exiles” mostra i lati più deboli di se insieme alla collaborazione di un arrangiamento particolarmente toccante e romantico senza che la band si snaturi. L’apice delle loro sonorità urbane viene però raggiunto da “Easy Money”, un pezzo che sembra essere decenni in anticipo con il suo riff dirompente, la sua poesia di strada e dei nuovi e ispirati ritmi dati dal grandissimo Bill Bruford, che aveva da poco lasciato gli Yes per iniziare il suo nuovo viaggio alla corte di Fripp, consacrandosi come uno dei migliori batteristi dell’intera storia del rock, portando sempre qualcosa in più che un ritmo, semplice o complesso che sia.
Proprio nella parte intermedia di “Easy Money” la band appende nell’atmosfera una infiammata improvvisazione che vede brillare tutti i musicisti della band che di fatto vantava di mostri sacri in ogni reparto. E dopo “la batteria parlante” di Bruford l’album si chiude con la seconda parte della title-track, un coltello affilatissimo che fa quasi urlare al “Post-Punk”, ipnotico ma a giri altissimi, trionfale l’unione melodica del finale di questo capolavoro, una sorta di primo album per la nuova formazione dei King Crimson, ma, come vedremo, non l’ultimo.
Gianvittorio Bentivoglio