1

PHOTO 2024 02 11 00 33 24

PIEMONTE- 11-02-2024-- Ho da poco appreso della morte di Damo Suzuki, leggendario cantante della band tedesca Can, che negli anni 70 stravolse la musica con vari album magnifici, tra i quali Tago Mago. Per celebrare Damo e la sua gente, oggi vedremo una lista di quelli che secondo me sono alcuni lavori essenziali del krautrock.


In un’epoca dove la musica alternativa era dominata dal cosiddetto “Prog”, forse la progressione vera avvenne in Germania. Infatti, confrontati alla scena Europea, quello che avvenne in Germania non aveva eguali, frutto della grande diversità che permeava la zona in quegli anni.

Gli incontri elettronici con Stockhausen, lo Zodiac Club, l’oscuro passato Nazista e il conseguente pregiudizio europeo, la denigrazione dei media occidentali… Questi elementi sono sono alcuni di quelli che rendono il Kraut una delle migliori correnti musicali del Rock, completamente indifferente a ciò che non è arte radicale. Kraurock non è un genere bensì uno sfottò, il termine nacque in Inghilterra per descrivere e prendere in giro la musica teutonica.

I leggendari Faust, dal canto loro, incorporarono il termine nel loro quarto album “IV”, rendendo quell’insulto il sinonimo di genio e follia. Difficilissimo collocare musicalmente le correnti tedesche, infatti, a differenza anche della maggior parte del Prog, gli album Kraut avevano ben poco in comune uno con l’altro, quasi a voler esplorare le infinite possibilità delle frequenze. Buon viaggio e buon ascolto, vi assicuro che qui c’è del materiale scoppiettante per tutti i gusti.

CAN : Dopo la dipartita del loro cantante, i Can, che tra gli altri vantavano di un bassista come Holger Czukay e un batterista come Jaki Liebezeit, optarono per una scelta bizzarra: prelevarono infatti dalle strade un misterioso artista di strada Giapponese, Damo Suzuki, e mai matrimonio fu migliore. Tago Mago (1971) è l’estasi della psichedelia portata all’estremo dalla sinergia magica che c’era tra i membri della band. I 18 minuti di Halleluwah valgono intere carriere, non c’è mai un momento dove l’equilibrio va a mancare. Aumgn è una dimostrazione di forza da parte del batterista Jaki, che con le sue percussioni sembra creare una sinfonia aliena, “distruggendo” Peking 0 con uno dei primi esempi di batteria elettronica. I testi di Damo vanno oltre alla solita Distopia e spaziano nella psiche e nell’assurdo, come in Paperhouse o Oh Yeah.


Non contenti, i Can raggiunsero con il successivo “Ege Bamyasi” (1972) un discreto successo commerciale. Il disco suona meno radicale e più tradizionale, ma ciò non vuol dire che non sia radicale e sia tradizionale, sono pur sempre i Can, che con la loro Vitamin C portano l’angoscia dell’abuso fisico e psicologico nelle radio delle berline, non definendosi mai nel loro delirio jazz-psichedelico-garage.
I Can poi, sfornarono un altro tassello del mosaico del rock col successivo Future Days (1973), cambiando diametralmente le carte in tavola con una musica prettamente cerebrale e meditativa, intrinseca del fuoco rock che lentamente arde senza mai davvero esplodere in questo album, l’ennesimo manifesto della loro straordinaria carriera, che vide i musicisti dei Can distinguersi anche come collaboratori, turnisti, solisti e molto altro.


NEU! : “Nuovi” di nome e di fatto, i Neu! nacquero dalle cenere dei primi Kraftwerk in quel di Dusseldorf. A differenza dei Kraftwerk, il duo di Klaus Dinger e Michael Rother non utilizzava strumenti elettronici, ma contribuì comunque ad influire la nascita dell’elettronica. Nel loro album d’esordio del 1972, c’è forse il più iconico dei “Motorik”, ovvero l’incessante ritmo di batteria ipnotico ed eterno che con il suo minimalismo apriva la mente alla fantasia totale, come nel pezzo Hallogallo. I loro pezzi puramente strumentali sono in pratica dei manuali scientifici del Rock, che necessitano di grande attenzione per apprezzare il loro Diavolo che sta nei dettagli. I successivi due album, “2” e “75”, sono cosparsi anch’essi della magia cosmica che sembrava voler suonare musica elettronica con batteria e chitarra. Di rilevanza anche il loro side-project “La Dusseldorf”.


FAUST : Già trattati in un articolo precedente sul loro seminale album d’esordio, i Faust erano forse la band più assurda del Kraut. I miti su di loro sono ormai leggenda, dagli arresti al “rapimento” dello studio Polydor, non potevano che essere loro a far da portavoce del genio rock Tedesco. Il primo album è la perfezione del nulla, mentre il secondo “So Far” (1972) sembra aver ricollocato il senno nelle menti dei Faust, che dopo lo sperimentalismo e gli “Sketches” del loro Faust Tapes, rilasciarono nel 1973 Faust IV, un capolavoro quasi “pop” reso inaccessibile dagli undici rumorsi minuti dell’opener “Krautrock”, brano che come dicevo prima diede un nome a una corrente che per troppo tempo non ebbe mai rilievo.


Ci furono molti artisti che invece prediligevano strumentazioni elettroniche, figli dell’innovazione tecnologica e degli sperimentalismi classico-moderni di Karl Heinz Stockhausen tra gli altri. Tra queste band ci furono anche i famosissimi Kraftwerk, che prima di far da colonna sonora al Tour De France ebbero una carriera strepitosa che di fatto puntò quasi a comporre musica pop solo con l’uso di sintetizzatori, concetto avanguardistico per l’epoca. Oppure gli iconici Tangerine Dream, che ancora vibrano in alcune discoteche, volenti o meno, appartenenti a quella branchia chiamata “Musica Cosmica” per un buon motivo: le loro composizioni elettroniche assomigliavano più a dei trip psichedelici e spaziali, impostati praticamente con uno stampo classico. Membro dei Tangerine Dream fu anche Klaus Schulze che con il suo Irrlicht (1972) portò l’alieno terrore cosmico nelle case di tutti, costruendo una robotica distopia che si amalgama bene con la radiazione cosmica di fondo del nostro universo.


Impossibile non citare band come Amon Duul II, tra i primi “Krautrockers” in assoluto, già nel 1969 il loro “Phallus Dei” era un minacciante macigno freestyle che non invidiava nulla alla musica anglosassone, spettacolare anche il successivo Yeti, che confermò la sensazione che gli Amon Duul fossero la band più “Tedesca” di quel fiume d’oro giovanile.
Fondamentali furono anche gli Xhol Caravan, il loro “Electrip” (1969) mescolava cose mai sentite prima, ben riassunte nella formidabile suite “Raise Up High”, uno dei pezzi storici del Kraut, che insieme al rumore degli Stooges unì i deliri Jazz tipici di Zappa, oltre che la lezione psichedelica che segnò il decennio.


I più religiosi erano senz’altro i Popol Vuh, avanguardistico il loro “In Der Garten Pharaos”, registrato in una cattedrale abbandonata e dedito alla trance meditativa-spirituale. Tornarono poi dall’asia con una lezione induista e la misero in pratica fondendola con il loro tedesco cristianesimo, nel capolavoro “Hosianna Mantra”, un album di elevazione e leggerezza.

E’ difficile parlare del criptico Krautrock, ed è impossibile rendere onore a tutte le grandi band di quell’epoca. Spero che questa lista vi porti dei gradevoli nuovi ascolti o riascolti.