PIEMONTE- 22-02-2023 -- Una delle band più ostiche nonché più importanti del post-punk sono i Pop Group, che nel 1979 rilasciano il loro primo album, il loro capolavoro, “Y”. La sperimentazione la fa da padrone, e la contaminazione di generi quali jazz, funk, chi più ne ha più ne metta, rende l’album una vera e propria pietra miliare della meravigliosa corrente new-wave di fine anni 70.
Il disco si apre con “Thief Of Fire”, dedicata alla ribellione del mito greco di Prometeo, portando all’esasperazione i ritmi funk e le urla stridule del sax. “Snowgirl” alterna le solite ritmiche “new-wave” a un ritornello da piano bar che esplode nel finale, un pezzo fantastico. La coerenza viene totalmente a meno in “Blood Money”, pezzo senza ne capo ne coda che punta quasi a essere un “free-jazz” tribale mentre Mark Stewart canta di guerra, denaro e morte. “Savage Sea” è uno spaventoso brano per pianoforte che gioca molto sull’uso dei suoni eterei e i contrasti tra voce e altri strumenti. “We Are Time” fa da parodia al movimento punk e come al solito il basso ha un’importanza di rilievo, incessante e a dirigire il tutto. Il cabaret di “Words Disobey Me” gioca sul tema del linguaggio. “Don’t Call Me Pain” inizia con un grottesco saxofono, nel mentre la formula della band è sempre la stessa, con un testo recitato da Stewart come fosse a teatro. I Pop Group ci portano poi nella foresta amazonica con “The Boys From Brazil”, una distopia tribale costernata da una chitarra in agonia. L’ultimo brano, “Don’t Sell Your Dreams”, inizia sospeso nel vuoto dove le urla sono accompagnate da un docile accompagnamento, entra poi la batteria a dare struttura al brano.
Diciamo quindi che l’enorme creatività del gruppo e la loro propensione alla sperimentazione ci hanno regalato un capolavoro senza tempo, anzi, avanti nel tempo, capace di sfogare la rabbia “punk” in maniera mai banale.
Gianvittorio Bentivoglio