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S.M.MAGGIORE- 13-09-2016- Come su queste colonne avevamo già anticipato, lo scorso agosto si era deciso di inviare circa quaranta profughi a Re, decisione poi cambiata dopo le rimostranze dei sindaco (e probabilmente anche della curia ndr.). Sui modi ed i tempi con cui questa decisione era stata presa e comunicata, affinchè non si ripeta la situazione, interviene il sindaco di Santa Maria Maggiore in una lettera inviata al ministro, al prefetto ed al Ciss Ossola: “La nota del CissOssola, protocollo 5762, in data 18 agosto.2016 pervenuta allo scrivente comune per conoscenza nella quale si ipotizza l’incremento di migranti in una struttura del Comune di Re, mi conduce a porre alcune osservazioni in merito al delicato problema immigrazione, fuori controllo e senza accenno ad una diminuzione, e al modo in cui lo stesso viene gestito in questo momento storico- scrive al Ciss Claudio Cottini, sindaco di Santa Maria Maggiore. Che il Sindaco del territorio di una Valle, la Vigezzo, di poche migliaia di anime e omogenea territorialmente e socialmente, venga informato, peraltro per sola conoscenza e incidentalmente, da un Ente deputato alla gestione dei servizi sociali e non direttamente da chi invece ha la concreta gestione dei flussi migratori - la Prefettura - costituisce una inevitabile stonatura, una delle tante, anche relativamente a quanto sarebbe emerso nel vertice Ministro Alfano/ANCI ove si è ribadito che l’accoglienza deve vedere protagonisti i sindaci e deve altresì vedere una programmazione e una spalmatura equilibrata che preveda circa 2,5/3 profughi ogni mille abitanti. Si deve infatti evitare il fenomeno, ahimè in continua crescita, per cui “la Prefettura chiama e informa circa l’arrivo di un certo numero di migranti” (Fassino, Presidente ANCI).

Questa valle conta, nel suo complesso, poco più di 6.000 abitanti e già 35 migranti registrati in anagrafe (rapporto 5,8/1000 abitanti) sono ospiti di una struttura collocata nel Comune di Craveggia, grazie alla disponibilità del Sindaco e della comunità di quel Comune che ha messo a disposizione un edificio nel tempo ristrutturato con fondi di tutti i Comuni vigezzini; pensare di incrementare ulteriormente il numero collocandone altre decine nei Comuni vicini significa non avere a cuore neppure l’integrazione di chi si intende aiutare. Una corretta procedura non può infatti prescindere da forme di cooperazione tra migranti e istituzioni, con impiego degli stessi in progetti, siano essi sociali, lavorativi o istituzionali, che consentano loro di essere seguiti e di non sentirsi abbandonati. Ciò è quello che i Sindaci dei Comuni di questa Valle hanno fatto e stanno facendo in questi mesi. Ma è incontrovertibile che un numero elevato non consentirebbe queste attività con conseguenze facilmente ipotizzabili fin nell’immediato e poi nel momento in cui verranno a cessare i sussidi governativi.

Integrazione è prima di tutto sostenibilità con il territorio, la sua economia e le possibilità occupazionali ivi presenti e, a tal fine, non può essere sottaciuto che questa Provincia per la sua alta disoccupazione è stata recentemente riconosciuta dalla Regione Piemonte come area di crisi complessa ai sensi del D.M. 24 marzo 2010.

La disponibilità è massima per accogliere, si spera temporaneamente, perché ognuno dovrebbe avere il diritto di poter vivere decorosamente nella terra in cui è nato e la scelta di spostarsi dovrebbe essere volontaria e non imposta per fuggire da guerre, da regimi dittatoriali, o da situazioni di pericolo. Ma si spera temporaneamente anche perché la ricollocazione lavorativa futura di tante unità pare davvero insostenibile per questo Paese. E chi in futuro non lavorerà potrebbe anche giungere a delinquere per potere vivere, ivi compresi i figli dei cittadini italiani.

Il rapporto 2,5-3/1000 previsto dal Governo, peraltro, significherebbe che in Italia, la cui popolazione si assesta su circa 59 milioni di abitanti, il numero massimo di migranti previsto si assesti sulle 177.000 unità. Ma se solo nel 2015 i rifugiati e migranti sbarcati in Italia sono stati 153.842 e circa 170.000 nel 2014 (fonte sito internet istituzionale www.interno.gov.it), pur dando atto di alcuni respingimenti e di chi ha varcato la frontiera, si capisce che il predetto rapporto 3/1000 sarà sensibilmente aumentato nel tempo anche a causa di uno Stato che non è in grado di difendere i propri confini nazionali.

Se accoglienza significa che tutti coloro i quali fuggono dal loro paese per migliorare le condizioni di vita o semplicemente il loro salario debbano trovare spazio, ciò è nobile ideale ma non perseguibile perché oggettivamente insostenibile, in particolare in un Paese come il nostro che ha una disoccupazione giovanile che si aggira al 40% e una crescita economica prossima allo zero. Inevitabile il rischio di tensioni sociali e quindi di ordine pubblico con disoccupati autoctoni, magari artatamente istruiti da qualcuno e bisognosi di servizi sociali che invece latitano per carenza di risorse a ciò dedicate.

Peraltro, senza entrare nel merito in quanto i fatti sono stati resi noti da fonti giornalistiche, pare che alcuni casi di ordine pubblico si siano già verificati anche se, per fortuna, si tratta di situazioni limitate e circoscritte a casi ben definiti.

Sono tematiche complesse che non possono essere lasciate a questo o quel Sindaco, ma sulle quali deve intervenire la politica internazionale cancellando, ad esempio, debiti pubblici di paesi in difficoltà. Una politica di integrazione seria e responsabile, non figlia di questo o quell’interesse (perché se in tanti Paesi africani si combattono guerre di cui spesso nessuno parla, sono molteplici gli interessi – anche occidentali – che vi si celano).

Del resto la storia insegna che i processi migratori sono avvenuti da paesi poveri verso paesi in espansione ove era richiesta manodopera lavorativa, ciò anche nei democraticissimi paesi scandinavi che sono sempre citati quale corretto esempio di politica sociale.

Credo che la gestione dei migranti dovrebbe rimanere in capo alle sole istituzioni pubbliche perché spesso l’intervento di privati viene visto da molti come occasione di business, al pari di alcuni soggetti – non tutti, ci mancherebbe – che mettono a disposizione le proprie strutture non per spirito umanitario ma per lucrarvi col canone di locazione.

In conclusione: questa Valle, che peraltro vive anche sul turismo, ha già dato e un ulteriore incremento del numero non è ragionevolmente possibile tenuto altresì conto che, in Provincia, vi sarebbero già numerosi soggetti cui è stato negato il riconoscimento dello status di rifugiato ma che, avendo presentato ricorso, rimangono sul territorio. Anche in tal caso, poiché a quanto consta viene a cessare il sussidio governativo, ci si domanda con quali risorse economiche costoro possano vivere sul territorio nazionale in attesa della sentenza di appello.

L’auspicio è che, in futuro, a partire dal Governo centrale, la gestione migrazione sia meglio organizzata e resa compatibile con la reale situazione dei territori che costituiscono il Paese. Ma al momento questo territorio non è nelle condizioni di accogliere ulteriori soggetti che non saprebbe come impiegare in progetti di integrazione”.