DOMODOSSOLA- 31-01-2017- Ha parlato al cuore ed alle coscienze
dei suoi alunni, e colleghi, la professoressa Emanuela Fantini all'apertura del 21° ciclo di conferenze organizzate al Liceo Giorgio Spezia di Domodossola quest'anno intitolate “Il più...bello”. Una relazione in cui le colpe e le carenze delle generazioni sono state mostrate senza pudore nella loro provenienza, senza alibi. Disagio giovanile, individualismo esasperato, genitori poco autorevoli e incoerenti, che assomigliano profondamente ai loro figli, sono stati raccontati attingendo da mostri sacri della filosofia, da Kant a Nietzsche, da Sartre al contemporaneo Galimberti, senza negare che il malessere adolescenziale è spesso frutto dell'”analfabetismo emotivo” dei loro genitori, ma anche dei loro insegnanti, magari colmi di nozioni ma incapaci di comunicare, e di esaltare autostima ed autoaccettazione negli alunni, parlando di denaro, “unico generatore di valori” e di “cuore”, unico strumento per “alimentare intelligenza ed apprendimento”. E l'inusuale attenzione ed il silenzio con cui gli studenti dello Spezia hanno seguito la relazione dimostrava che la relatrice coglieva nel segno: “Spesso noi insegnanti facciamo fatica a capire un alunno che esce dalla nostra psicologia- così Emanuela Fantini- talvolta manca un piccolo riconoscimento durante quell'età difficile che è l'adolescenza, dove si fa fatica a costruire la propria identità”. La professoressa ha poi parlato ai giovani che a volte applicano una rimozione della realtà, che si rifugiano in un mondo alternativo: “Oggi i ragazzi possiedono un'emotività più incontrollata e uno spaio di riflessione più modesto. Sta agli educatori non interrompere mai la comunicazione”. Educare i giovani ad essere se stessi in questa epoca difficile, con un'educazione che produce: “una mancanza di crescita emotiva che rende il sentimento inespressivo, una corazza che rende i giovani impenetrabili. Occorre attraversare il dolore, non evitarlo, proprio di forza d'animo hanno bisogno i giovani oggi, non più sostenuti dalla tradizione, da una morale certa, oggi che è smarrito il senso dell'esistenza e la sua direzione.
I prossimi appuntamenti al Liceo Spezia saranno il 13 febbraio col professor Renato Venturiello che parlerà di “Il soldato Ryan e la Shoah”, il 20 febbraio con il professor Marcello Landi che parlerà de “Il più bell'annuncio”, ed infine il 6 marzo con la conferenza “Quale Allegria...” del professor C. Stella”.
Ecco il testo della relazione della professoressa Fantini:
Giovani e nichilismo
“La scuola non deve mai dimenticare di avere a che fare con individui ancora immaturi, ai quali non è lecito negare il diritto di indugiare in determinate fasi, seppur sgradevoli, dello sviluppo. Essa non si deve assumere la prerogativa di inesorabilità propria della vita; non deve essere più che un gioco di vita.” S. Freud
“Un bambino viziato non è triste; s’annoia, come un re. Come un cane” J.-Paul Sartre
“Non si entra nella verità senza l’amore”. Paolo di Tarso
“Contributi a una discussione sul suicidio” (1910)
Il nichilismo si aggira fra i giovani, penetra nei loro sentimenti, fiacca la loro anima, cancella prospettive e orizzonti.
Il presente diventa un assoluto da vivere perché promette di seppellire l’angoscia prodotta dalla desertificazione del senso. Oggi i riferimenti tradizionali sono stati erosi dal disincanto del mondo, il politeismo dei valori rischia di rendere stupida ogni prescrizione e inutile ogni proibizione. Spesso i ragazzi non sanno descrivere il loro malessere per quell’analfabetismo emotivo a cui sono stati addestrati da genitori ed insegnanti.
La nostra epoca percorsa da insicurezza e precarietà, quando non da odio e cinismo, è stata chiamata “l’epoca delle passioni tristi”; la scienza, l’utopia e la rivoluzione hanno promesso tanto e ottenuto una vita più lunga. Violenza, intolleranza, disastri economici, inseguono il nostro tempo. Continuiamo a fare le guerre come agli albori della nostra civiltà, così recita “Uomo del mio tempo” di Quasimodo: può ben dire il regista Angelopulos che la storia non ci ha insegnato nulla se il Novecento inizia e finisce con Sarajievo.
La stessa mancanza di un futuro per i giovani priva gli educatori di autorevolezza. Galimberti afferma che la scuola crea intorno agli studenti un vuoto emotivo ed esistenziale. Spesso noi insegnanti facciamo fatica a capire un alunno che esce dalla nostra psicologia e buona parte di noi avrebbe fatto volentieri un altro mestiere, complice uno Stato che calcola solo la quantità di contenuti e non le competenze psico-pedagogiche nonché la capacità di comunicazione degli insegnanti. Purtroppo queste ultime sono molto più importanti delle prime perché prima si è educatori e poi insegnanti.
Nella scuola spesso autostima e autoaccettazione sono tenute in minimo conto e la disattenzione di alcuni insegnanti, i loro epiteti, le loro derisioni a volte non rafforzano l’autostima degli studenti.
Talvolta manca un piccolo riconoscimento durante quell’età difficile che è l’adolescenza, dove si fa fatica a costruire la propria identità. Spesso la mancanza di un riconoscimento conduce ad una rimozione della realtà con conseguente rifugio in un mondo alternativo o alla frustrazione che, reiterata, annulla l’identità.
A scuola si pensa al profitto, dalla scuola è espulsa l'educazione emotiva ma... non si ragiona sul fatto che la volontà non esiste senza interesse e l'interesse senza un legame emotivo; non si entra nella verità senza l'amore, diceva Paolo di Tarso. Il suicidio nei giovani, afferma L. Cancrini, non dipende tanto dalle difficoltà che si incontrano quanto dalla paura di essere rifiutati o abbandonati. Occorre evitare anche quella demotivazione insidiosa che spegna in giovani vite il rispetto di sè. Se è vero che la scuola è l'esperienza più alta in cui si offrono i modelli di secoli di cultura, se questi modelli restano contenuti nella mente senza diventare SPUNTI FORMATIVI DEL CUORE, il cuore comincerà a vagare senza orizzonte. Per "cuore" si intende quella forza disordinata e propulsiva che dischiude alla vita, quella spinta senza la quale gli adolescenti difficilmente proseguirebbero l'impresa. Oggi i ragazzi possiedono, forse, un'emotività più incontrollata e uno spazio di riflessione più modesto. Sta agli educatori non interrompere mai la comunicazione, buona o cattiva che sia. L'alfabeto emotivo è fatto di conoscenze quali la collera, la paura, l'amore, la tristezza, laddove Aristotele nella "Retorica" ci diceva che: " Le emozioni hanno relazioni con l'apparato cognitivo perchè si lasciano modificare dalla persuasione". Ogni giorno i notiziari ci informano di situazioni sfuggite al controllo: madri che uccidono figli, genitori uccisi a martellate dai propri figli, ragazze uccise dal loro gruppo di amici, segretarie massacrate davanti al loro computer. Fra i paesi industrializzati siamo secondi solo agli USA. L'accoglienza, l'indifferenza o il rifiuto si succhiano dal seno materno, oggi purtroppo c'è poca educazione emotiva anche da parte dei genitori spesso troppo distratti o indaffarati a perseguire quelle mete della società in cui IL DENARO E' L'UNICO GENERATORE SIMBOLICO DI TUTTI I VALORI.
Di AUTOCONTROLLO E COMPASSIONE abbiamo soprattutto bisogno oggi, ogni insegnante deve sapere che L'INTELLIGENZA E L'APPRENDIMENTO NON FUNZIONANO SE NON LI ALIMENTA IL CUORE.
Nel deserto della comunicazione emotiva fa la sua comparsa il GESTO spesso VIOLENTO che prende il posto dell'afasia emotiva. Purtroppo il nostro tempo HA BRUCIATO GLI SPAZI DELLA RIFLESSIONE, RIDOTTO ALL'INSIGNIFICANZA QUELLI DELLA COMUNICAZIONE MA SOPRATTUTTO HA INARIDITO IL CUORE. Conoscevamo la follia come eccesso della passione, oggi, sempre più frequentemente, la follia veste gli abiti della freddezza e della razionalità: le ragazze che vicino Sondrio uccidono una suora, il ragazzo che a S.S.Giovanni uccide la sua amica, il figlio che ha ucciso il padre a Padova e poi ha bruciato il cadavere, e che dire dei “fidanzatini” di Novi Ligure che hanno sterminato la famiglia di lei? La psichiatria conosce questa sindrome come PSICOPATIA o SOCIOPATIA. Manca quella formazione all’AUTENTICITA’, cioè far si che le cose e le esperienze siano proprie, non vivendole alla maniera di chi si lascia portare da esse ma al contrario assumendole all’interno della propria progettualità e quindi dominandole.
La risposta è sempre nelle relazioni tenendo presente che esse non escludono i conflitti, anzi, a volte li determinano. La stessa parola, interesse, include una relazione. Ma alla base dell’educazione borghese c’è la confezione di un abito di buone maniere, di stereotipi linguistici, di controllo dei sentimenti che, come una corazza, rende questi giovani impenetrabili.
Alla base c’è una mancata crescita emotiva che ha reso il sentimento atrofico, inespressivo, non reattivo per cui gli eventi della vita passano loro accanto senza una vera partecipazione; ma non come mettere in contatto il cuore con la mente e la mente con il comportamento e il comportamento con il riverbero emotivo.
IL SENTIMENTO E’ FORZA, FORZA D’ANIMO, RESILIENZA. Non è languore, malcelata malinconia, struggimento dell’anima, sconsolato abbandono. Guai ad essere stranieri nella propria vita. Bisogna educare i giovani ad essere se stessi. Occorre perciò attraversare e non evitare il dolore. Di forza d’animo hanno bisogno i giovani oggi non più sostenuti dalla tradizione, da una morale certa, oggi che è smarrito il senso dell’esistenza e la sua direzione.
La storia non racconta più la vita dei loro padri e la parola dei genitori è spesso incerta.
La pubblicizzazione dell’intimità, specialmente in certe trasmissioni televisive, come il GF e l’Isola dei Famosi, ha eliminato il pudore, neutralizzato la differenza fra interiorità ed esteriorità.
L’omologazione dell’interiorità è il tratto di tutte le società conformiste; è SPUDORATEZZA che non ha niente a che fare con la sincerità; perfino la Chiesa chiede alle autorità di interessarsi di queste trasmissioni perché violano la privacy. L’omologazione dell’interiorità ha così ucciso la vergogna e la conseguente cancellazione del male o, meglio, della differenza tra bene e male.
Il nichilismo è sotteso alla droga, la droga conosce il desiderio umano e la sua insaziabilità per una società che ha perso la MISURA, categoria centrale dell’Antichità; la droga è scelta di astinenza dalla vita, dissolversi delle paure. Insieme alla misura nella nostra società è saltato il concetto di LIMITE. E in assenza di un limite, il vissuto soggettivo non può che essere di inadeguatezza, quando non di ansia e, infine, di inibizione.
Ai giovani del cavalcavia arriva solo il linguaggio della maledizione della sorella della vittima, la maledizione come minaccia impotente che ha la possibilità magica di diffondere l’inquietante.
IL NOSTRO TEMPO REGOLATO DALLA RIGIDA RAZIONALITA’ IMPOSTA DALLA TECNICA, HA ESPULSO LE GRANDI PASSIONI DELL’UOMO. I gesti omicidi dei giovani sono spesso, oggi, “senza movente” ed è questo che preoccupa. La fragilità notevole dei ragazzi di oggi deve andare di pari passo con l’EDUCAZIONE ALLE EMOZIONI attraverso quell’abbondante letteratura che insegna come un’emozione trova forma di parola.
Il deserto affettivo dei nostri giovani produce 4000 suicidi all’anno fra i 15 e i 25 anni.
Dovremmo vivere l’insignificanza dell’esistenza fino in fondo per essere all’altezza di un dialogo con i giovani.
Noi insegnanti non abbiamo davanti una classe ma tante facce diverse con tante storie diverse alle spalle, dobbiamo imparare ad accorgerci della sofferenza dei giovani, che tra il loro sé e l’angoscia di esistere non c’è alcuno spazio di mediazione e ricordarci che ogni gesto porta con sé un tentativo di comunicare che non può non essere raccolto. L’incontro con il ragazzo del cavalcavia: io sono come tutti.
La famiglia è “normale”, suor Teresa è l’unico motivo per cui si illuminano gli occhi del ragazzo; l’unico valore di riferimento è il lavoro per i soldi che dà per aiutare la famiglia. L’ambiente è un centro ricco della Val Padana, il carattere scarsamente individuabile, il linguaggio scarno. Nelle risposte spesso esce la parola NIENTE.
Non ha mai incontrato nessun insegnante con cui aprire un canale di comunicazione emotiva e dice di avere imparato più dalla TV che dalla scuola. La generazione degli indifferenti è non partecipativa, con una sensibilità fragile, indolente, con le fughe nel mito. Il tutto condito da un acritico consumismo, reso possibile da un’inedita disponibilità economica dato che le cose sono a loro disposizione prima ancora che le abbiano desiderate.
E’ l’omologazione sociale planetaria di cui aveva parlato Pasolini, prodotto dell’emigrazione mentale verso il modello americano che avrebbe sicuramente portato a delle crisi d’identità. Ma che ne è di una società che fa a meno dei suoi giovani? Forse l’Occidente non sparirà per l’inarrestabilità dei processi migratori nè per la minaccia terroristica ma per non aver dato senso ed identità e quindi aver sprecato le proprie giovani generazioni. I giovani del fattore Q hanno un non elevato quoziente intellettivo ed emotivo, quelli della “generazione X” sono raccolti nella loro rassegnata commiserazione; i primi sono annoverati nella SOCIOPATIA o PSICOPATIA, per cui i soggetti non provano alcuna risonanza emotiva per le azioni che compiono, anche le più criminose. Secondo alcuni studiosi come Falko Blask, questo sarebbe il modo di vivere di un’intera generazione.
Incapacità di stabilire relazioni, tutte le scelte sono revocabili, il tutto condito da una indifferenza egocentrica abbinata alla rinascita del concetto di destino: io sono fatto così.
E’ il fallimento di genitori distratti ed insegnanti annoiati. Anche la violenza negli stadi è nichilista, ha una caratteristica rituale, vive esclusivamente per la prosecuzione di se stessa, perciò traduce in barbarie la normalità. Le pene finora inflitte ai violenti sono troppo miti e abituano a ripetere le stesse crudeltà. Occorre accettare la vita come sperimentazione, con quella ragionevole prudenza del pensiero chiamata filosofia di Penelope che disfa incessantemente la sua tela perché non sa se Ulisse ritornerà. L’accezione positiva del nichilismo di Volpi assomiglia all’etica del viandante di Nietzsche. Non è anarchica erranza, è disertare le prospettive escatologiche per abitare il mondo NELLA CASUALITA’ DELLA SUA INNOCENZA. La de-territorializzazione è il prodotto della contaminazione di usi e costumi che obbligherà tutti a fare i conti con la differenza. Il viandante non ha più certezza nella proprietà, nel confine, nella legge, perché non può vivere senza elaborare la diversità delle esperienze cercando il centro non nel reticolato dei confini ma nei poli indicati da Kant: IL CIELO STELLATO E LA LEGGE MORALE. L’oltrepassamento del nichilismo ha a che fare con l’ATTESA e la SPERANZA, la prima sarà possibile solo se legata alla seconda perché LA SPERANZA E’ L’APERTURA DEL POSSIBILE. Il futuro vuoto disertato sia dall’attesa che dalla speranza produce la noia che è l’anticamera della depressione tanto diffusa fra i giovani. Il filosofo E. Bloch evidenzia la natura intrinsecamente utopica della musica capace di risvegliare nei giovani la loro dimensione più profonda, è una lontananza che disintegra il tempo reale, concede la prossimità alla profondità dell’intimo, è la reminiscenza dell’esperienza del nulla. La musica si sente, incide nella carne, per questo l’erotico è il gesto naturale del musicale. Nella danza ogni gesto diventa POLISEMICO, la danza dissolve tutti i sensi che pretendono definitività.
Il punto di fusione è l’immediatezza, come l’erotismo, la musica vive l’istante. L’eccesso di energia sprigionata dai corpi, il tentativo di compensare con i gesti l’afasia del linguaggio, il ritmo meccanico che affoga l’espressività gestuale in una cadenza senza tempo, le luci stroboscopiche che, spezzando la continuità del movimento, ne inchiodano le forme, sono in realtà la PARODIA DELLA DANZA dove ciò che drammaticamente trapela è l’incapacità di riportare il corpo al centro della propria esperienza.
Il segreto della giovinezza è nell’espansività che segna la sensazione di appartenere ad una comunità nascente, è il segno della CORALITA’ GIOVANILE, è adesione incondizionata alla pienezza della vita. E’ un pensare con il cuore che invoca l’immaginazione come soluzione e concepisce il viaggio come desiderio di varcare ogni confine, è una sfida per mettersi alla prova, è un escursionismo simbolico. Alla giovinezza appartiene la TRASFORMAZIONE in cui il giovane valorizza i suoi maestri, semmai ne ha avuti; SOLO IN QUESTO CASO, IN MAESTRI CHE HANNO LASCIATO QUALCOSA, IL PASSATO E’ L’ABBRIVIO DEL FUTURO.
L’età della giovinezza non è un transito come la nostra rassegnazione di adulti e il nostro sano realismo che l’hanno svilita, ci vogliono far credere, NEI GIOVANI GIA’ AGISCONO I SIMBOLI E LE FIGURE DEL FUTURO.
Genitori troppo competitivi desiderosi di figli vincenti non sono stati troppo capaci di costruire nei loro figli l’AUTOSTIMA, la CAPACITA’ DI ASSORBIRE EVENTI NEGATIVI E LO STRESS, LE RISORSE AFFETTIVE. La maturazione cognitiva, affettiva, relazionale, sociale, non avviene né in modo unitario né in modo sincrono. I genitori dovrebbero occuparsi dell’educazione sentimentale e dei danni provocati da una crescita innaturalmente affrettata che ha loro rubato l’infanzia perché l’età evolutiva scorre per tentativi ed errori, essi devono fare esperienza del dolore e della morte per non diventare quelli che Igmar Bergman definisce “giovani analfabeti delle emozioni”. L’esperienza negata rende fragili, non li protegge. La ricerca di spiritualità e autenticità è stata più volte dimostrata dai ragazzi, quei Papa boys che sono accorsi in migliaia a Roma ad ascoltare un Papa vecchio e malato. Non servono i regali di molti genitori acquiescenti per bilanciare sensi di colpa irrisolti. Occorre educare all’autostima, all’autonomia, non alla disistima a cui spesso conducono i loro lunghi rimproveri.
La prima regola dell’educare, dice Crepet, è SAPER ASCOLTARE, a volte i giovani non si sentono ascoltati ma solo giudicati. L’eccesso di stimoli crea loro spaesamento, più conoscenza, non certo più maturità. È più difficile essere adolescenti oggi perché maggiore è il giudizio dei pari. La comunicazione virtuale enfatizza il bisogno di turbamento, la ricerca dell’inconfessato, una diversità altrove non ammessa: l’omogeneizzazione dei modi di essere e degli stili di vita appare sempre più brutale ed efficace. L’assenza degli adulti è spesso nella nostra incapacità di comunicare passioni e la vera maturità dei giovani è nella loro capacità di scindersi dai legami d’amore primari. Oggi il disagio giovanile non è solo prodotto dall’emarginazione sociale, che non certo decresce, ma anche dal benessere. La nostra collettività che vive nell’individualismo esasperato sta costruendo forme di autismo reciproco, adulti incoerenti e poco autorevoli. Per la prima volta da decenni il mondo dei genitori assomiglia così profondamente a quello dei figli. Non c’è terreno di confronto tra le generazioni, chiara distanza, ma omologazione. Per capire e seguire i ragazzi ci vuole pazienza, virtù così carente nel nostro tempo veloce. La pazienza è una scelta razionale, costa fatica e si compie per uno scopo. E’ un gesto o un’attitudine del sentimento, un modo della generosità, in genere per amore di un altro, ha quindi una portata etica. Discende dal credere e dallo sperare, occorre credere che la pazienza dia frutti e i frutti non si vedono nell’immediato. E’ una risorsa di adattamento, consente di accettare ciò che si fa fatica a tollerare. E’ una risorsa di rallentamento, capace di attendere credendo, attendere ciò per cui vale la pena di attendere, dunque anche risorsa di discernimento. Non è inermità: infatti si dice “ armarsi di pazienza” che acquista il suo senso appunto dalla presa di coscienza della vulnerabilità come condizione ineluttabile.
Emanuela Fantini
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