VERBANIA – 07.02.2017 – Un anno e dieci mesi di reclusione, pena sospesa,
al giovane profugo bengalese che aggredì sessualmente e spintonò a terra una mamma di Villadossola a spasso col cane. E' stato condannato anche al risarcimento di 5 mila euro alla parte offesa a 1600 euro di pagamento di spese legali ed ha l'interdizione ai pubblici uffici per la durata della condanna e perpetua per curatela e tutela legale. Oggi il collegio di giudici del tribunale di Verbania presieduto da Luigi Montefusco e composto da Rosa Maria Fornelli e Raffaella Zappatini ha condannato il diciannovenne Miya Hridoy, responsabile dei fatti accaduti la sera del 17 agosto scorso a Villadossola. La donna attorno alle 20 era a spasso col suo Husky sulla ciclopedonale dell’Ovesca, tra la chiesa di San Bartolomeo e il parco giochi, quando fu aggredita e, liberatasi con urla e grida, riparò in un bar vicino avvisando i soccorsi, finendo al Dea per alcune escoriazioni e sporgendo denuncia.
Le indagini
I carabinieri della stazione di Villadossola e del Reparto operativo di Domodossola iniziarono le indagini partendo dal cappellino – nero, con la scritta Heineken – ritrovato sul posto. Grazie a esso e alle testimonianze individuarono e sentirono già la stessa notte i quattro profughi. Che, insieme ai due testimoni, furono portati al comando Compagnia di Domodossola per un riconoscimento all’americana. La donna, posta dietro un vetro a specchi e di fronte ai quattro, non esitò a individuare quello che aveva denunciato come aggressore – ebbe anche una crisi di pianto dovuta allo stress – e l’altro amico che al suo passaggio stava riprendendo con il telefonino (poi si appurò che stesse effettuando una videochiamata). Anche uno dei giovani podisti di passaggio, intervenuti subito dopo, riconobbe inequivocabilmente il presunto aggressore come l’uomo che vide alzarsi e seguire la donna. Nel mese di novembre Hridoy è stato posto agli arresti domiciliari, che sta scontando nel centro di accoglienza di Crusinallo dove è stato trasferito.
Il racconto della vittima
Nel processo celebrato oggi, la donna ha ribadito la propria versione, già resa nell’immediatezza dei fatti e in un’altra testimonianza. Ha spiegato, con calma e lucidità, le circostanze di quella sera: l’arrivo di fronte alla panchina dove stazionavano quattro giovani stranieri, il distacco da loro di uno di essi che, dopo averle detto qualcosa che non comprese, la palpò prima al seno e poi, avvicinò la mano alle parti intime, facendola finire a terra e strillare fin quando non se ne andò.
Le testimonianze
In udienza sono stati sentiti alcuni testimoni. Tra questi uno dei due fratelli podisti che quel giorno incrociarono la donna, videro i profughi sulla panchina e poi udirono le grida di lei. Il direttore del centro di accoglienza di Villadossola di cui erano ospiti ha raccontato le concitate fasi di quella sera: la chiamata dei carabinieri, l’arrivo in caserma e, al ritorno nella casa, il confronto con gli ospiti per individuare il proprietario del cappellino e il suo utilizzatore quel giorno, Hridoy. Il coordinatore della cooperativa Azzurra, titolare di tre strutture in provincia, ha spiegato che l’imputato non ha mai dato problemi tranne una sera in cui rincasò in ritardo e fu sgridato, precisando e le modalità con cui nacque la comunità di Villadossola. Hridoy, che era da mesi a Crusinallo, fu mandato nell’appartamento di via Toninelli, in un alloggio autogestito e indipendente, perché s’era ambientato in Italia e aveva dimostrato di saper convivere con altri connazionali perché i bengalesi hanno una miglior attitudine a vivere in appartamento, per esempio, degli africani.
La versione dell’imputato
Oggi Hridoy ha parlato ai magistrati. Pur nelle difficoltà della doppia traduzione bengali-inglese, inglese-italiano, ha dato la sua versione dei fatti, cioè che si trovava in compagnia dei tre amici a bere una birra e mangiare una mela vicino alla chiesa di San Bartolomeo quando fu sorpassato dalla donna che passeggiava col cane. In un primo momento l’animale gli girò intorno e lui dovette compiere un passo indietro per divincolarsi dal guinzaglio, poi lui la seguì per chiedere se potesse cogliere altre mele dall’albero. Fu in quell’attimo che lei si mise a gridare e lui, spaventato, la spinse – senza che cadde –, tornando poi sui suoi passi. Solo la sera vennero al centro d’accoglienza i carabinieri e gli contestarono aggressione e violenza. Lui chiese nei giorni successivi al direttore di poter contattare la donna, ma fu sconsigliato. Nell’interrogatorio il pm Gianluca Periani gli ha rivolto alcune contestazioni alle dichiarazioni rese nell’interrogatorio di garanzia, quando affermò di essere sotto l’effetto di alcol – circostanza oggi negata – che aveva paura del cane – oggi ha dichiarato che tentò di accarezzarlo – e sulle circostanze in cui perse il cappellino, che inizialmente disse d’aver lasciato sulla panchina ma che poi ha corretto in un generico “non ricordo”. Il giovane bengalese ha ammesso d’aver spinto la donna vedendola nervosa, respingendo ancora una volta la versione dei palpeggiamenti.
Le conclusioni
Per il pm Periani la colpevolezza del giovane profugo è chiara, corroborata dall’attendibilità del racconto della parte offesa, che non è mai cambiato in tre versioni, dalle testimonianze e dalle incongruenze e modifiche nella versione dell’imputato, che non può spiegare il referto del Dea se non ricorda che la donna sia caduta. Per lui ha chiesto una condanna di 3 anni e 6 mesi. Richiesta sollecitata anche dalla parte civile, costituita con l’avvocato Serena Bonetti, che ha rimarcato le differenti versioni dell’imputato chiedendo un risarcimento di 5.000 euro, oltre alle spese di costituzione in giudizio. Di tutt’altro avviso l’avvocato Daniele Fortis di Torino, difensore di fiducia di Hridoy, secondo cui non c’è prova dell’aggressione sessuale, mentre vi sono dubbi sulla ricostruzione della vittima e alle sue reazioni strane rispetto al contesto, e dubbi anche sulle testimonianze dei podisti, viziate da pregiudizi contro gli stranieri “chissà che avrebbero detto – ha affermato – se i quattro stranieri fossero stati giovani di Villadossola...”. Il difensore ha mostrato la disponibilità dell’imputato a risarcire con 500 euro (da pagare in più mesi perché provento del pocket money in dotazione ai richiedenti asilo) i soli danni della spinta, che è l’unico fatto che ammette. In conclusione ha chiesto l’assoluzione o la derubricazione dei reati in percosse.


